Recensione CD di Aart van der Wal in Opus Klassiek, Giugno 2020 – “Franz Schubert: L’enchantement retrouvé”
Giugno 30, 2020

Non fu Franz Schubert a inventare l’improvvisato, ma il ceco Jan Václav Hugo Vorísek (1791-1825). Contemporaneo sia di Schubert (1797-1828) che di Beethoven (1770-1827). E, non a caso, anche Vorisék morì a Vienna: il 19 novembre 1825. Anche lui apparteneva alla schiera dei compositori e dei musicisti attratti dalla metropoli musicale.

Quegli “improvvisati”, brevi brani per pianoforte, erano molto apprezzati dal pubblico viennese. Tanto che sono diventati rapidamente un genere importante. Ovviamente l’editore musicale di Schubert non si è lasciato sfuggire questo aspetto, per cui ha arbitrariamente ribattezzato il “Klavierstücke” offerto da Schubert in “Impromptus”. Apparentemente nella speranza che ciò influisca positivamente sui dati di vendita. Non così. Schubert era e rimase un compositore ombra per il pubblico viennese e questo “improvvisato” non poteva cambiare neanche questo. Un destino che è toccato anche ai ‘Moments Musicaux’.

Ma non fu solo la denominazione a finire sotto il ceppo: ad esempio, l’estemporaneo in sol bemolle maggiore, la terza di D 899, divenuta molto più tardi così famosa, fu trasposto per comodità dallo stesso editore solo un semitono più alto, così che i sei bemolle originali potevano essere tranquillamente scambiati con un solo diesis: il fiero fa diesis di sol maggiore. Il che, comunque, cambiò drasticamente il carattere del pezzo. Nessuno, però, era sveglio. Il povero compositore potrebbe anche essere stato d’accordo: “se solo vendesse”. In seguito anche Brahms giocò un ruolo importante in questo ambito, quando gli fu commissionato di apportare modifiche rigorose alle opere per pianoforte di Schubert per la casa editrice leader Breitkopf & Härtel. Allora non avrebbe avuto la sensazione di muoversi su un ghiaccio scivoloso, perché “le cose potevano solo migliorare”. Anche Julius Epstein (1832-1926) lo fece dopo Brahms, con ovviamente un risultato diverso. Ciò vale anche per Walter Gieseking (1895-1956), il pianista che parla ancora attraverso le sue numerose registrazioni.
Allora la strada verso qualcosa di così ovvio per noi come le edizioni “Urtext”, spogliate di ogni tipo di intervento di terzi, era ancora molto lontana; di solito con le migliori intenzioni.

Ci si può però porre una domanda importante: che dire delle diverse interpretazioni dell’immagine delle note sapientemente restaurata? La libertà che il singolo artista si concede – e questo vale certamente per queste preziose miniature, veri esempi scolastici di “esercizi” di grande successo in piccola forma – di far vivere questa musica secondo le sue visioni? Dopotutto non c’è pianista che non voglia darne la propria “interpretazione”, lasciando ovviamente all’ascoltatore se può associarsi o meno. Ciò che è “responsabile” dal punto di vista storico spesso si rivela nella pratica una questione di percezione, anche se alcuni vorrebbero far credere il contrario.

Questa interpretazione rimane – per fortuna! – ancora un attributo prezioso che può spingere l’esperienza musicale a nuovi livelli. Ciò vale soprattutto per spettacoli che ormai consideriamo il segmento più alto, con pianisti del calibro di Arrau, Brendel, Uchida, Lupu, Pires, Schiff, Perianes e Hamelin in prima fila. E poi c’è quell’inimitabile Sokolov che riesce più volte sul palco dei concerti a dispiegare un panorama evocativo molto peculiare e il cui gioco estremamente espressivo, spesso addirittura stravagante, sembra staccarsi da ogni (presunta) tradizione e forse proprio per questo sa affascinare. . Dove faccio subito notare che un’esecuzione dal vivo registrata per “l’eternità” rimane sempre quell’esecuzione dal vivo in cui il concetto viene esplorato fino ai limiti estremi e il cui risultato non assomiglia più a un’interpretazione pensata nei minimi dettagli. Nella foga del momento, con i pro e i contro inevitabilmente associati.

Gli “Impromptus” (D 899), i “Moments Musicaux” (D 780): vabbè, è solo una denominazione completamente all’ombra di quella che è senza dubbio la Grande Musica – sì, con la maiuscola!. Musica che affascina costantemente e la cui forma scelta si adatta perfettamente al dramma e al lirismo e di cui ogni nota può farcela senza ulteriori fronzoli grazie alle sue proprietà sfaccettate. Per inciso, non tutti i pianisti lo hanno capito bene, intrappolati nell’equivoco secondo cui un profilo interpretativo scelto consapevolmente avrebbe bisogno di quella raffinatezza. Si può dimostrare, lo dimostrano le grandi reciproche differenze interpretative, che all’interno di quel dato contesto inesorabile si manovra sufficientemente senza cadere in giochetti.

Detto questo, non si tratta di una tradizione determinata dalla stessa storia discografica alla quale ogni nuovo arrivato dovrebbe conformarsi. O in altre parole: l’incantesimo può colpire ancora e ancora. Come dimostra Ingrid Carbone con il suo nuovo album, che non a caso si intitola ‘L’Enchantement retrouvé’: in questo caso l’incantesimo che poteva (doveva?) riscoprire nei suoi occhi e che è riuscita a riscattare con cuore e anima. I suoi studi di composizione forse l’hanno aiutata in quello che in fondo è uno degli aspetti più belli della sua interpretazione: riscoprire le note e poi darle una direzione interpretativa e stare lontano da quello che teoricamente chiamo nuoto a secco e che alla fine non porta nulla; e certamente non per l’ascoltatore. Questa musica dovrebbe suonare fresca come la rugiada e chiara come il vetro, con gli accenti posizionati dove, data la percezione individuale del musicista, sono i più eloquenti. Accelerandi e rubati non diventano così fine a se stessi, ma prendono forma con una duttilità che – è da interpretare come paradosso – è insita nella forma. Questo non ha nulla a che vedere con l’ostentazione, l’esibizione, ma con devozione, entusiasmo, intimità e metamorfosi poetica. Fornisce un’esposizione convincente di quello che rimarrà sempre un paesaggio affascinante alle mie orecchie.

La sonorità del pianoforte a coda Bechstein squisitamente intonato e accordato (il modello D proviene dalla collezione di Angelo Fabbrini) e la registrazione dettagliata si dimostrano i supporti ideali per questo magnifico gioco riccamente vario dell’acclamato vincitore del premio (troverete il necessario In rete).

Leggi la recensione (in tedesco)>>

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