Recensione CD di Glyn Pursglove in Musicweb Magazine di Settembre 2020 – “Franz Schubert: L’enchantement retrouvé”
Aprile 22, 2024

Franz SCHUBERT (1797-1828)
L’enchantement Retrouvé
Four Impromptus, D.899 (Op.90) (1827) [30:01]
Six Moments Musicaux, D.780 (Op.94) [30:09]
Ingrid Carbone (piano)
rec. 2019, Odradek Records Studio.
DA VINCI CLASSICS C00253 [60:10]

Queste due serie di klavierstücke di Schubert hanno molte cose in comune. Il primo è che ogni serie porta un titolo probabilmente inventato da un editore, piuttosto che scelto da Schubert; e ciascuno di questi titoli è inappropriato. Negli anni venti dell’Ottocento la parola improvvisato avrebbe creato aspettative, nelle parole di John Daverio, di qualcosa “sulla falsariga dei pezzi da salotto alla moda per pianoforte prodotti in quantità considerevoli durante i primi decenni del diciannovesimo secolo dal compositore ceco Václav Jan Tomášek e il suo allievo Jan Václav Voříšek […] questi erano fatti su misura per pianisti dilettanti che potevano affrontare una certa quantità di passaggi appariscenti ma non molto difficili. Gli improvvisati di Schubert sono di un ordine completamente diverso; espressi per la maggior parte in forme più ampie, hanno posto agli esecutori e agli ascoltatori sfide molto più grandi degli affascinanti pezzi di carattere di Tomášek e Voříšek” (“Un altro bellissimo ricordo di Schubert”: Schumann’s Critique of the Impromptus D.935′, The Musical Quarterly, 84:4, 2000, pp. 604-18). Non sorprende che Schumann (in una recensione su Neue Zeitschrift für Musik (14 dicembre 1838) abbia osservato (con riferimento a D.835, sebbene il commento sia altrettanto appropriato per quanto riguarda D.899) “Non riesco a credere che Schubert chiamava davvero questi movimenti ‘improvvisati’”.

Lasciando da parte le implicazioni di questo termine generico, certamente nuovo, la parola francese “improvvisato”, nell’uso normale, designa qualcosa prodotto improvvisato, senza premeditazione. Solo chi è sordo all’abilità artistica di Schubert potrebbe ritenere che tali descrizioni siano appropriate a questi pezzi. Come Impromptu, il titolo Moments Musicaux banalizza la musica di Schubert, trascurando o rifiutandosi di riconoscere la serietà della sua arte e del suo significato. Per aggravare l’insulto (senza dubbio inconsapevole) il primo editore di questi sei pezzi, l’editore viennese Marcus Leidesdorf, stampò addirittura il titolo come Momens musicals. Pochi, sicuramente, non sarebbero d’accordo con il commento di John Warrack nelle note del libretto per la ristampa di alcune registrazioni di Schubert di Alfred Brendel (Philips Duo 465-061-2), secondo cui gli editori avevano utilizzato “un titolo la cui natura e grammatica [Schubert] difficilmente verrà approvato. Questi sono più che “momenti”, estendere un pensiero, o giocare con una frase, un’idea armonica o una figurazione tecnica, trasformandola in una riflessione poetica”.

Come molti pezzi da salotto, la maggior parte dei lavori su questo disco sono relativamente brevi (ma quanto breve è breve? I pezzi variano in lunghezza, in questa performance, da 10:50 a 2:07). Ma la brevità non è la stessa cosa della leggerezza. Si pensa ai grandi aforismi o agli epigrammi. La loro brevità è un aspetto essenziale del loro potere: – “Per gran parte della storia, l’anonimo era una donna” (Virginia Woolf); “Il successo è la capacità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo” (Churchill). In esempi come questi, e nelle brevi opere per pianoforte di Schubert, la concisione porta ad un maggiore impatto, piuttosto che alla banalità o alla superficialità.

Ingrid Carbone non considera certo questi dieci pezzi come opere leggere o realizzate senza premeditazione. Ciò che è avvincente nelle sue performance, nel complesso, è il modo in cui bilancia le esigenze di melodia e struttura nell’esecuzione di questi dieci brani brevi, ma preminentemente maturi. I suoi tempi a volte sono un po’ più lenti di quelli a cui siamo abituati, ma quando è così, per la maggior parte sembra far parte di una visione coerente della musica. Quando, ad esempio, il tema simile a una marcia all’inizio dell’Improvviso in do minore viene presentato come una sorta di marcia funebre, ha senso in termini di lettura più ampia del pezzo da parte di Carbone; quando la marcia scompare, si trasforma in un bellissimo brano consolatorio. Nel secondo Impromptu il modo di suonare di Carbone è meravigliosamente fluido, anche se la sua precisa collocazione degli accenti fa sì che non vi sia mai alcun pericolo che la fluidità causi una perdita di forma. Alla fine di questo breve pezzo [6:12] abbiamo percorso una lunga strada; la chiusura è malinconica e la fluidità è diventata cristallina nella sua precisione. Carbone prende il terzo Improvvisato con delicatezza, sia nel tempo che nel volume, in modo che sia una serenata che non si impone all’attenzione di chi riceve la serenata, ma piuttosto si impadronisce insidiosamente della mente e del cuore. Nel quarto Impromptu il modo in cui Carbone tratta il rapporto tra i due temi è meravigliosamente efficace, a conferma del rispetto con cui tiene le idee formali di Schubert.

La Carbone è altrettanto sicura nei Moments Musicaux. Nel n.1 in do maggiore presenta, con lucidità e senza fronzoli, le complesse suddivisioni ritmiche della scrittura; il risultato è liscio e limpido ma con un senso di enigmi esistenti sotto la superficie. C’è un senso di scala che sembra smentire la relativa brevità della partitura. Nell’Andantino in la bemolle maggiore che segue, Carbone rispetta il ritmo siciliano, ma lo priva di ogni brio. Esplora un paesaggio di profonda miseria, si potrebbe anche dire una condizione di desolazione, in cui c’è poco senso di amarezza o di protesta; il tono, piuttosto, è quello di una riconciliazione non retorica con la fine inevitabile. (Data la data di questa composizione, è difficile non sentire in essa la risposta di Schubert alla consapevolezza della propria morte imminente). Il terzo dei momenti (!) è stato forse giocato più spesso della maggior parte dei suoi compagni. Ascoltato isolatamente si potrebbe prendere il suo “rimbalzo” per oro colato (dopotutto è stato scritto nel 1823), ma ascoltato dopo l’Andantino in la bemolle maggiore, ogni “rimbalzo” nella scrittura suona inevitabilmente ironico, ogni accenno di “gioia” ‘ o ‘speranza’ indebolita dal senso del compositore (e del pianista) della loro natura in definitiva illusoria. Per quanto riguarda il quarto pezzo di questa raccolta, il Moderato in do diesis minore, bisogna ammettere che Carbone non cattura la qualità quasi bachiana dell’apertura così bene come, ad esempio, fanno Schiff e Brendel. Ma nella sezione centrale in re bemolle maggiore il suo modo di suonare è di rara bellezza, e il successivo ritorno al materiale di apertura è ben gestito. Il quinto dei Momenti Musicaux, l’Allegro Vivace in fa minore, inizia con un dattilo percussivo e il suo eco; gli accenti sul tempo sono una caratteristica ripetuta nel corpo principale di questo brano, essenzialmente in una struttura ternaria, prima del ritorno ai motivi precedenti. Non ho mai trovato questo uno dei brevi klavierstücke di Schubert più interessanti e, per quanto sia ben disposto nei confronti delle esecuzioni della Carbone, non fa molto per convincermi che finora sono stato colpevole di un punto cieco. Nell’Allegretto finale (in la bemolle maggiore), tuttavia, sono rimasto molto colpito dal modo in cui Carbone ha costruito (come richiede la partitura) una lunga linea melodica dai brevi motivi con cui inizia il pezzo. Il modo di suonare cantabile di Carbone va bene qui, anche se penso che sia l’unica occasione in cui la sua scelta di un tempo lento diventa relativamente ponderosa.

Il suono registrato è ottimo in ogni sua parte (il tecnico del suono è Marcello Malatesta) e cattura molto bene le sfumature timbriche del Bechstein Model D suonato dalla Carbone.

Nel corso degli anni ci sono state parecchie registrazioni illustri di questi dieci pezzi straordinari – mi vengono in mente nomi come Schiff e Brendel, Pires e Orkis o, più indietro, Schnabel e Fischer. Questa nuova registrazione non merita un posto in quella compagnia esaltata. Ma è certamente una registrazione molto bella – tra le migliori nuove registrazioni di questi lavori che ho ascoltato negli ultimi anni; e, è bene ricordarlo, questo è solo il secondo CD di Ingrid Carbone. Il suo primo, Franz Liszt: Les harmonies de l’esprit (Da Vinci Classics, DVC 00144), l’ho ascoltato solo su un servizio di streaming attraverso gli altoparlanti del mio computer, ma anche quello sembra impressionante. Il minimo che si possa – si dovrebbe – dire è che Carbone è già una pianista molto esperta e dotata di reale intuito, e che mostra segni promettenti di diventare un’artista ancora più notevole e importante. Carbone è una giovane artista straordinaria e le sue capacità chiaramente non si limitano al pianoforte. All’età di 21 anni si laurea con lode in Matematica presso l’Università della Calabria. Da allora ha insegnato matematica nelle università italiane, ha tenuto relazioni a convegni di matematica ed è professore assistente di matematica presso l’Università della Calabria. Una rapida ricerca in biblioteca ha rivelato suoi articoli su riviste internazionali molto apprezzate come Applied Mathematics and Computation, Journal of Mathematical Analysis and Applications e Journal of Approssimation Theory. Carbone porta nelle sue esibizioni al pianoforte una mente che spazia oltre la musica. Sospetto che varrà davvero la pena guardare la sua futura carriera (come pianista!).

Leggi la recensione (in inglese) su Music Magazine>>

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