Giudizio artistico 4/5
Se dovessimo suddividere grossolanamente la vita e l’opera musicale di Franz Liszt, ci accorgeremmo che la sua parabola esistenziale e artistica ricalca quella che segna il pensiero e la vita di uno dei più grandi filosofi dell’Ottocento, Søren Kierkegaard, che fu lo stesso età del compositore e pianista ungherese (se Liszt è del 1811, Kierkegaard nacque due anni dopo, ma morì prima, nel 1855, a differenza del musicista, che morì più di trent’anni dopo, nel 1886). Dapprima in Aut-Aut e poi in Paura e tremore, il filosofo danese propone che la vita di un uomo possa essere racchiusa in tre “sfere” esistenziali, quella “estetica”, quella “etica” e quella “religiosa” , che con tutti si può anche sperimentare, come accadde a Kierkegaard, che passò poi dall’ambito estetico a quello etico, per concludere la sua parabola con quello religioso.
Per quanto riguarda la vita di Liszt, ciò è possibile considerando il periodo che va dal 1825 al 1840 (cioè quando iniziò ad esibirsi in giro per l’Europa fino all’incontro con Schumann e Wagner) e può essere racchiuso nella “sfera estetica”, il periodo dal 1844 al 1862 (dalla fine della relazione con Marie d’Agoult fino alla morte della prima figlia Blandine), quello che rientra nella “sfera etica” e, infine, l’arco di tempo che va dal 1865 al 1886 (poiché ricevette la tonsura e gli ordini minori fino alla morte in Vaticano), periodo che rientra nella “sfera religiosa”.
Partendo da questa suddivisione, è estremamente interessante parlare dell’ultima incisione realizzata dal pianista Cosentino Ingrid Carbone, che ha inciso per la Da Vinci Classics un CD che presenta opere che appartengono, seguendo la suddetta scherma, al cosiddetto “medio terreno” della vita e dell’opera lisztiana, cioè la sua “sfera etica”, con brani come Après une lecture du Dante (risalente al 1849), Consolazioni, sei pensées poétiques (sempre dello stesso anno), il celebre terzo Liebestraum ( O lieb, so lang du lieben kannst!), scritta nel 1850, e la seconda delle due Leggende, ovvero St. Francois de Paule: marchant sur les flots (composta tra il 1862 e il 1863). Per comprendere meglio i meccanismi della “sfera etica”, Kierkegaard spiega in Aut-Aut che l’uomo può decidere di cambiare tipo di esistenza, passando dalla vita estetica a quella etica, nella quale può vivere secondo ideali morali, nonché come se avesse la capacità di assumersi le proprie responsabilità. Questa azione gli permette di scegliere tra il bene e il male, accettando il ruolo fondamentale della famiglia (nel ruolo del “marito”) e del lavoro, caricandosi sulle spalle anche il peso dei possibili sacrifici per far sì che possa rispettare questi principi etici. vincoli. Così, se la figura del “seduttore” (incarnazione della “sfera estetica”) vive solo attimo per attimo, perdendo così se stesso, quella del “marito” gli fa costruire la propria personalità, scegliendo la continuità del tempo in cui non fa altro che ribadire la sua scelta da “seduttore” a “marito”.
Con una sorta di operazione plutarchiana, possiamo così rendere parallela la vita di Kierkegaard con quella di Liszt, se si considera non solo il passaggio che coinvolge sia il grande filosofo danese che il compositore e pianista ungherese dalla fase “seduttiva” (estetica) a quella “seduttiva”. “maritale” (etico), con la decisione la prima di lasciare Regina Olsen e la seconda Marie d’Agoult (che in precedenza aveva abbandonato il marito e le due figlie per seguire Liszt), ma anche con l’adesione ad una sfera attraverso la quale cessare di concepire la vita come somma di istanti per accettare, al contrario, la concezione della continuità temporale, dando vita ad una dimensione più responsabile e, appunto, “etica” dell’esistenza (rimanendo presso il compositore, nel 1847 avviò il rapporto romantico con la principessa Carolyne zu Sayn-Wittgenstein che non poté sposarsi solo per il fatto che quest’ultima non ottenne l’annullamento del precedente matrimonio, mentre nel 1849, durante i moti di Dresda, il compositore dimostrò il suo altruismo “etico” aiutando la “ rivoluzionario” Wagner trova rifugio in Svizzera). Così Liszt, in questi anni, tende ad annullare progressivamente l’aspetto mondano per dare più tempo e importanza all’aspetto creativo-spirituale e a concepire l’istanza dell’eros, inteso nel suo significato etimologico greco, più come una manifestazione dell’agape, cioè di un amore più disinteressato, universale, che si irradia da coloro che vivono il cristianesimo in modo attivo e fideistico. Ed è anche il periodo che porta Liszt alla svolta erotica in favore dell’eroico, che traspare, ad esempio, nella creazione di alcuni poemi sinfonici come Les Préludes e Mazeppa, intrisi di un romanticismo puramente letterario. Ed è, per restare nell’ambito del rapporto tra musica e letteratura, il momento della realizzazione di Après une lecture du Dante che, come sappiamo, trae il motivo ispiratore dalla Divina Commedia, uno dei testi poetici più venerati di Liszt, pagina pianistica che trae spunto da tre distinte componenti del capolavoro dantesco: la dimensione infernale, la supplica dei dannati rinchiusi nei vari gironi e l’episodio dell’amore proibito di Paolo e Francesca (a livello allegorico, tre momenti che la dicono lunga il passaggio dalla fase “estetica” a quella “etica”, con la presenza ossessiva del tritono, il diabolus in musica, che caratterizza il tema principale sulle ottave discendenti). La lettura che fa Ingrid Carbone pone l’attenzione, o meglio l’accento, su una dimensione che, però, non ha nulla a che vedere con l’eroismo, preferendo invece intingere il pennino dell’interpretazione nel calamaio dell’alba di una nuova spiritualità; la sua agogica non è appassionata, titanica, come spesso capita di ascoltare, ma basata su un suono che si può definire quasi “violentato”, fissato nell’oscurità dello spazio circostante (l’uso dei pedali non è mai esagerato), trasformando di fatto questo lavoro in una ricerca “etica” alla quale Liszt si rivolge per attingere alla luce di un senso spirituale di cui sentiva un’esigenza ineludibile che andasse oltre la mera materia artistica per esplorare i misteri escatologici. Ecco, allora, che il suono evocato dall’interprete cosentino è il frutto di questa escatologia, una riflessione sonora che indaga, attraverso gli episodi danteschi, il mistero della morte, l’afflizione data dal peccato, la ricerca di un amore proibito e assoluto che lascia lo ctonio dell’eros per assurgere all’empireo dell’agape (il brano dedicato all’episodio di Paolo e Francesca è reso agogicamente da Ingrid Carbone come una sorta di mantra timbrico, “risonante”, avvolgente nella sua tenue cristallinità fatta di lucentezza che diventa materia , in cui il desiderio si purifica nel rimpianto idealistico dell’amore non vissuto in nome di un amore più grande e assoluto, quello che nasce eminentemente dalle pieghe della spiritualità).
Da qui intuisco perché l’artista calabrese abbia voluto affrontare questa pagina e le altre dell’incisione in questione con un Bechstein A-228, una scelta coraggiosa poiché questo strumento a volte deve essere domato dalla sua meccanica e dal suono “estremo” che si esprime sia nel registro acuto che nel registro grave; una scelta che ci fa capire come Ingrid Carbone abbia voluto simbolicamente rendere più marcato, almeno nell’Après une lecture du Dante, il “regno delle tenebre infernali” attraverso il registro grave e il “regno della luce divina” con quello acuto ( il trillo espresso e rievocativo di Paolo e Francesca a fine pagina è sintomatico di questa potenza allegorica, un monito e un perdono allo stesso tempo, prima che le porte dell’inferno si richiudano sui massicci accordi seri e solenni).
Sempre al 1849 risalgono alla versione definitiva le Consolazioni, sei pensées poétiques, il cui titolo si riferisce probabilmente all’omonima raccolta poetica di Joseph Delorme, pseudonimo utilizzato da Charles Sainte-Beuve, pubblicata diciannove anni prima, ma il cui corrispettivo poetico può coinvolgere anche la raccolta poetica più famosa di Novalis, i sei Hymnen an die Nacht, che rappresentano un’esperienza eroico-filosofico-religiosa profondamente vissuta, capace di esaltare chi la sperimenta a intraprendere un percorso spirituale che porta a vincere l’idea della morte. Allo stesso tempo, però, non bisogna dimenticare, anche a livello esecutivo, che questi sei brevi brani sembrano avere un ideale punto di riferimento con i Lieder ohne Worte di Mendelssohn.
Un’altra composizione, dunque, che riflette la dimensione “etica” evocata da Kierkegaard, insieme all’immagine di una tenue méditation poetique di lamartine memoria; pianisticamente, un mix che comprende il senso della memoria, della meditazione spirituale, di un languore sentimentale in cui, a volte, il concetto di eros ha il sopravvento su quello di agape, oltre all’immagine di una consolazione riparatrice in chiave cristiana . Come li interpreta Ingrid Carbone? Con una scansione che sceglie di volta in volta la presenza o l’assenza di una frase che sia simbolo di unione o di frattura nella sua assenza, come avviene nel brevissimo Andante con movimento iniziale o che si realizza ritmicamente nella seconda Consolazione (Un po’ più commosso), la cui dilatazione temporale deve essere effettuata senza svilire l’intero sistema. E con il concetto del Traum, del sogno, che domina la terza Consolazione (Lento placido), il pianista cosentino concepisce una liquidità timbrica che permette di esprimere un fraseggio rarefatto, cristallino, senza cadere nello scialbo e nel malaticcio (l’opera di la connessione con la mano sinistra è un balsamo per lo sviluppo di quella destra). L’incedere corale della Quarta (Almost Adagio), sembra riecheggiare l’Amen luterano di Dresda presente nella Quinta Sinfonia di Mendelssohn, che Ingrid Carbone esalta con senso ieratico e solenne, pur mantenendone la dolcezza espressiva. Una dolcezza rarefatta che l’interprete calabrese non abbandona nella quinta Consolazione (Andantino), in cui l’eloquenza è intrisa di tristi ricordi che si sciolgono solo con l’ultima Consolazione (Allegretto cantabile), il cui cantabile sembra davvero richiamare la voce umana e che il pianismo dell’artista cosentino riesce a dipanare con un velo di sottile magia, riuscendo a mimetizzare quegli spunti virtuosistici che rimandano per un attimo alla sfera “estetica” del primo Liszt.
Quanto al Liebestraum (O lieb, so lang du lieben kannst!), prima di entrare nel merito dell’esecuzione in questione, merita una premessa chiarificatrice; il suo essere (apparentemente) zuccheroso e ottuso ha sempre comportato malintesi interpretativi. Questo perché il pezzo venne accantonato dai più grandi pianisti del Novecento, Arrau escluso, poiché dovette pagare lo scotto di essere una pagina squisitamente “sentimentale”, quasi un pezzo di “musica leggera” travestito da contorni classici per uso e consumo di palati molto facili; del resto tale fama si fonda su un grossolano equivoco che deriva dal titolo stesso, Dream of Love, che suggerisce un brano in cui aleggia un sentimento presente, vissuto da un uomo e da una donna con un’abbondante dose di romanticismo. In realtà questo Liebestraum è stato trascritto da una lirica per canto e pianoforte, su versi di Ferdinand Freiligrath, scritta nel 1845; sia chiaro, di ispirazione tragica mentre cantano la perdita di una persona cara, anticipando una dimensione poetica più vicina alla decadenza che al romanticismo tout court. Del resto, più che un sogno d’amore, è la traduzione di una marcia funebre e come tale va espressa, proprio come fa Ingrid Carbone nel fraseggio che non si lascia andare a rifioriture decisamente fuori luogo, come se accompagnavano un video sulle figurine Liebig d’antan; una marcia funebre struggente, malinconica, intessuta di lancinanti rimpianti su cui incanalare gli slanci timbrici che compaiono a metà del brano. Una canzone, insomma, da interpretare guardando indietro.
Che Liszt attingesse non solo da temi letterari ma anche pittorici è cosa nota e acquisita e la seconda delle due Leggende, St. Francois de Paule: marchant sur les flots, ne è una chiara dimostrazione, visto che il compositore ungherese ha preso spunto per questa straordinaria pagina dopo essere rimasto fortemente colpito da un dipinto del pittore tedesco Eduard Jakob von Steinle, uno dei maggiori esponenti del movimento nazareno di metà Ottocento, che raffigurava questo miracolo (secondo la leggenda, Francesco da Paola, non avendo i soldi per farsi traghettare da un barcaiolo per attraversare lo stretto di Messina, riuscì a farlo stendendo il suo mantello come se fosse una piccola imbarcazione).
Questo brano necessita di molto controllo, soprattutto con la mano sinistra, a partire da una frase melodica che viene ripresa con sempre maggiore forza, senza però trasformare la lettura in un atto di titanismo difficilmente conciliabile con la mitezza del santo, ma chi invece esalta la forza della fede (che raggiunge il suo culmine nella parte finale, quando subentra un Lento, che è quasi un invito alla riflessione e alla meditazione). La sensibilità interpretativa che Ingrid Carbone dimostra è confermata dal fatto che la progressione timbrica in crescendo è pienamente rispettata senza ricorrere a slanci, ma partendo da mezzi toni che poco a poco danno l’impressione (cioè la rappresentazione) del manto della santa che traghetta Francesco da Paola sulle acque dello stretto, superando le forze fisiche della natura. Una progressione che viene interrotta proprio dall’irruzione del Lento, dipanato con commozione ed emozione, prima che la mano sinistra riprenda l’andatura “gregoriana” che conduce il brano alla chiusura, e che l’artista calabrese decide di non chiudere ricorrendo ad un ff, ma ad un approccio più raccolto e meditativo ff.
Se le letture del pianista cosentino risultano quindi pienamente convincenti, le note dolenti provengono dal lato tecnico della registrazione. Quindi è già stato detto, Ingrid Carbone ha registrato il disco con un Bechstein A-228, un pianoforte roccioso, che gioca molto sul contrasto tra il registro grave (molto scuro) e quello acuto (particolarmente brillante) e che ricorda, in un certo senso, i mitici pianoforti Érard, amati da Liszt, dal timbro più potente dei “concorrenti” Pleyel, amati da Chopin. Il problema dei Bechstein, come dei Bösendorfer, è che è difficile catturarne il suono, in quanto se il microfono non è posizionato idealmente, il registro grave tende a “rimbombare”, mentre il registro acuto provoca, a causa della sua cristallinità, una spinta , un effetto “metallico”, che satura gli alti e provoca imperfezioni per quanto riguarda il parametro di equilibrio tonale. Ed è proprio quello che è successo con l’audio in questione (e questo ho potuto verificarlo sia ascoltando le colonne sonore con l’impianto audio professionale a stato solido, sia con l’impianto audio da tavolo). Anche se la scena sonora vede lo strumento ricreato al centro dei diffusori, seppur molto da vicino, sia il dettaglio che la dinamica risentono inevitabilmente dei registri opposti che tendono a saturare lo spazio sonoro, impoverendo il lato audiofilo.