GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA MEMORIA DELLE VITTIME DELL’OLOCAUSTO
Una storia di famiglia
Questa storia inizia in Cecoslovacchia e finisce in Australia, passando anche per l’Italia.
Dall’agosto 1940 all’aprile 1941, i genitori di mio marito, Aljosa Volcic, ospitarono senza denunciarli alle autorità due ebrei clandestini: Jan Herman e sua moglie Anna, ebrei di Brno, giunti a Lubiana fuggendo dalla Cecoslovacchia.
Ma il 6 aprile 1941 i nazisti bombardarono Belgrado e la Jugoslavia fu invasa dalla Germania, dall’Italia e dai loro alleati. Il 7 aprile Jan e Anna fuggirono da Lubiana, ma finirono confinati nel campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria (Italia). Nel settembre 1943 il campo fu liberato dalle truppe britanniche che nominarono Jan Herman comandante pro tempore del campo. La sua permanenza nel campo di concentramento di Ferramonti è documentata da registri e lettere.
Jan ritornò a Brno dove venne accusato dal regime comunista di essere stato un collaborazionista.
Allora ritornò in Italia e si recò a Genova: di lì inviò una lettera ai genitori di mio marito, informandoli che stava per imbarcarsi per l’Australia con la moglie. Mio marito venne a sapere della loro morte da Wiesenthal, il “cacciatore di nazisti”.
2024- Il campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria
Oggi riprendo il racconto iniziato tre anni fa, il 27 gennaio 2021, con una storia di famiglia che arriva dalla Cecoslovacchia al campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria. È di questo campo che desidero parlare e della sua straordinarietà.
Jan Herman e sua moglie Anna, ebrei clandestini di Brno, trovano rifugio nella casa dei genitori di mio marito, Aljosa Volcic. Mio cognato, il noto giornalista Demetrio Volcic, era già nato e aveva un ricordo vivido della coppia.
Quando la Jugoslavia viene invasa, Jan e Anna fuggono in Italia e raggiungono il campo di concentramento di Ferramonti, la loro salvezza.
Il direttore del campo permetteva ai prigionieri di interagire con la popolazione locale, che si occupava di portare loro cibo in cambio di consulenza medica e sostegno scolastico. Il direttore, infatti, consentiva attività culturali, artistiche, musicali e anche ricreative. Abbiamo anche giocato a scacchi. In breve, potresti vivere.
Quando i tedeschi battono la ritirata e cercano di distruggere le tracce delle loro mostruosità, il direttore del campo Ferramonti mette in atto un piano eroico per salvare i suoi prigionieri: trasferisce i prigionieri normodotati nelle case circostanti, in modo che restino ben nascosti e , per scongiurare la morte certa negli ammalati pone ben visibile la bandiera della peste.
I tedeschi, vedendola, hanno paura del contagio e non entrano nel campo. Ecco come furono salvati i prigionieri.
Un atto eroico, di chi non ha paura di perdere la propria vita per salvarne tante altre.
Questa storia di umanità e di coraggio andrebbe raccontata più spesso, soprattutto ai bambini delle scuole.
Allora assumiamoci la responsabilità delle scelte difficili, anche se questo comporta dei rischi.
Commemoriamo le vittime dell’Olocausto e condanniamo ogni forma di razzismo, persecuzione razziale e genocidio.