Andrea Bedetti recensisce il terzo CD di Ingrid Carbone “Liszt: Le sentiment de la Nature” su MusicVoice.
Artistico 4,5/5
Tecnico 4/5
Se esiste una frase capace di riassumere in poche, pochissime parole, la vita e l’opera di Franz Liszt, probabilmente è quella che lo stesso compositore e pianista ungherese proferì pochi anni prima di morire, quando ormai aveva smesso di esibirsi in pubblico: «L’amore mi ha salvato da me stesso, l’arte mi ha salvato dall’amore, la religione mi ha salvato dall’arte. Perché tutto passa, tranne Dio». La vita, quindi, con tutte le sue lusinghe e le sue rinunce, con le sue tentazioni e le sue espiazioni, come atto continuo di salvazione, di remissione, di purificazione; un atto, per Liszt, che di volta in volta fu attuato attraverso una progettualità sentimentale, artistica, spirituale. Un continuo ricorso a qualcosa d’altro, come una sorta di agognato transfert con il quale trovare conforto, che fossero delle curve muliebri, la tastiera di un pianoforte o il pentagramma di una partitura o ancora, o per meglio dire, infine, come un alter ego di Joris-Karl Huysmans, i piedi di una croce.
Così, l’alfa e l’omega di Liszt corrispondono all’eros da una parte e allo spirito dall’altra, passando attraverso il ponte dell’arte. Chi ha letto le confessioni di Angela da Foligno o di Giovanni della Croce, sa perfettamente che la sensualità talvolta non fa rima con carnalità, bensì con spiritualità, poiché prima o poi gli opposti sono destinati a toccarsi e a riconoscersi. Quindi, eseguire e, parallelamente, ascoltare la musica di Liszt, a cominciare da quella pianistica, significa fondamentalmente esprimere e recepire due forze apparentemente contrastanti: il richiamo del trascendente (di cui il richiamo della natura ne è una testimonianza che va ben oltre a un’insufficiente idea di mero panteismo) e quello di un’immanenza che coinvolge, più o meno costantemente nel corso della vita del pianista e compositore ungherese, questa palese ricerca di una sensualità in grado di ammantare lo sguardo esterno dell’artista. Quella stessa sensualità che, decenni dopo, Pablo Picasso riassunse in un’espressione che ricalca la sua concezione di un’estetica che non è solo artistica, ma soprattutto esistenziale: «Com’è bello andare la mattina a messa, il pomeriggio alla corrida e la sera al casino». Una proiezione squisitamente vitalistica che rovescia, senza alcun dubbio, la celebre prospettiva kierkegaardiana, la quale, partendo dall’estetica giunge fino alla religiosità passando attraverso l’etica.
«Ingrid Carbone si esibisce con partecipazione, dosando il tono dello Steinway utilizzato e traducendolo in una continua ricerca di cristallinità, da intendersi come espressione di purezza, trasparenza, visione immacolata che si sprigiona nelle orecchie dell’ascoltatore. […] Il pianismo di Ingrid Carbone si muove, ora con passione, ora con costernazione, tra smarrimento e pseudovolontà di potenza».